Gazzettino Sampierdarenese

Il mensile di San Pier d'Arena online

Il Partigiano Gianni

Mag 6, 2020

La Storia è fatta di tante storie, spesso imponderabili. Un altro nostro attento lettore ha sentito la necessità di raccontare una sua storia di famiglia legata alla guerra e alla Liberazione. E’ Gian Maria Tavella, noto avvocato, classe 1960. La sua, naturalmente, è una memoria indiretta. Riguarda suo padre Giovanni (che nel dopoguerra diverrà un noto esercente di Rivarolo): “Tenere vivo il ricordo di un periodo irripetibile è un dovere civico. Fornisco un mio piccolo contributo di racconto familiare, che chiarisce, credo, quanto labili siano le narrazioni storiche dei periodi così convulsi, e quanto imprecisa la Storia stessa“. Ecco la storia del Partigiano Gianni. Marco Bonetti
Mio padre era nato il 24 Settembre 1925: diciottenne pochi giorni dopo l’8 Settembre. E pochi mesi dopo richiamato alle armi. Miracolosamente trova un impiego in una fabbrica militare, ma nell’estate 1944 riceve l’invito a presentarsi al Comando tedesco, ufficialmente per “andare a lavorare in Germania“, in realtà per essere sbattuto in prima linea, ma questo si sarebbe saputo dopo. Il caso volle che un suo amico, partito poco prima, fosse rimandato a casa morto, dentro un sacco. Il che convinse mio padre che, morire per morire, conveniva giocarsela. Si costruì una capanna di legno sulle colline dietro Ronco Scrivia, dove abitava, ci mise un lettino e una stufa, un po’ di viveri, e lì si ritirò. O, se si preferisce, disertò, beccandosi una condanna a morte. Il bando diceva: fucilazione alla schiena, tanto per gradire. Mangiò castagne per sei/sette mesi (diceva che fino ai 50 anni non era più riuscito a metterne una in bocca!), sfuggì ai rastrellamenti tedeschi (una volta, nascosto sotto un mucchio di foglie, vedeva gli stivali dei soldati a pochi centimetri dalla sua faccia). E non fece altro, nessuna azione eroica, non ebbe alcun rapporto con i partigiani che, pure, erano in zona, e che lo consideravano un ragazzino (in effetti questo era: aveva 19 anni). Il 23 Aprile 1945 dall’alto della collina mio padre vide l’esercito tedesco che si muoveva verso nord, abbandonando Ronco. Scendendo in paese incontrò un gruppo di partigiani, che stavano disarmando degli sbandati delle Brigate Nere. Arrivati in paese, uno dei partigiani consegna a mio padre una pistola sottratta poco prima. E lo incarica di fare la guardia al Municipio, in attesa degli Americani. Io soggiungevo, quando lo raccontava, che probabilmente il partigiano aveva premesso “… visto che non hai mai fatto niente!“. In ogni caso, mio padre corre ad abbracciare i genitori (abitavano a cento metri dal Municipio), prende una sedia, mia nonna gli porta una frittata, acqua e giornali, e resta lì, sulla porta del Municipio, tutto il pomeriggio e tutta la notte. La mattina del 24 arrivano gli Americani. E qui la Storia inizia a somigliare a un film dei fratelli Coen, perché a me piace immaginare questa scena: un ragazzo biondo dell’Iowa, che non parlava una parola di italiano, scende da un tank e riceve da mio padre (che non parlava inglese) le chiavi del Municipio, ringrazia e assume il comando del paese.

Salto in avanti: anno 2011, mio padre è mancato quattro anni prima. Rovistando in un armadio, salta fuori una scatola, dentro c’ è una pistola. Corro a denunciare il fatto ai Carabinieri, consegno l’arma. Il responsabile della caserma mi chiede se ne conoscevo la provenienza. “Ovviamente no”. “Suo padre è stato partigiano?” “No, non mi risulta”. Mi chiamano dopo qualche giorno per sottoscrivere il verbale, e il Carabiniere mi dice: “L’arma è una Beretta militare. E ho controllato! È ovvio che suo padre la possedesse: risulta essere stato comandante di formazione partigiana! Evidentemente si tratta una preda di guerra…”. Mi mostra un librone, archivio ufficiale del Comune. E lì vedo: Giovanni Tavella, nome di battaglia “Gianni”, che era, di fatto, il suo nome: nessuno in 82 anni lo aveva mai chiamato Giovanni. Unica spiegazione: nella concitazione del momento il ragazzo americano deve avere creduto che lui fosse il comandante dei liberatori. E gli deve avere chiesto il suo nome: “Gianni”, non fa una piega. E, visto che gli Americani erano coscienziosi, il ragazzo dell’Iowa deve aver registrato il passaggio di consegne da “Gianni” all’esercito USA! Mio padre è mancato senza mai sapere di essere stato Partigiano, almeno sulla carta! Anche questa storia, che tutto è meno che eroica, insegna che immensa confusione e quanti milioni di vicende personali stiano dietro l’immane tragedia che fu la guerra.
Gian Maria Tavella

3 commenti su “Il Partigiano Gianni”
  1. Una storia interessante, realistica, un po’ alla Partigiano Johnny, in un certo senso, senza retorica né enfasi politica. Grazie a Gian Maria Tavella e a te, Marco

    1. il diritto di vivere in tempi dove era fatto obbligo di morire. Dobbiamo anche a loro, che non hanno aderito ad una guerra fratricida, il senso di una Italia democratica e libera da tutte le disgraziate ideologie.

  2. L’interessante racconto svela una nicchia di storia al di fuori della retorica e dell’enfasi. Una vicenda umana dai risvolti curiosi che evidenziano i persorsi determinati dal Caso. Grazie, Avvocato, per averla condivisa.

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