Giovedì scorso a Milano, sotto la neve; ieri a Sanremo con il sole. Due località diverse tra loro ma egualmente amabili e italianamente simboliche: una capitale dell’economia; simbolo di mare, vacanze e canzone italiana per eccellenza nel mondo, la seconda. Unite tuttavia dalla stesso filo di crisi ed analoghi incontri con colleghi giornalisti sull’orlo di una crisi di nervi perché sfruttati o non pagati. Specchio di amara realtà generale: poca gente per strada, traffico dimezzato rispetto ad anni fa, tanto da non fare neppure più code nelle ore di punta sulla Tangenziale Est della città della Madonnina dove impiegavi più tempo che ad arrivare da Genova. Gente per strada invece a Sanremo ma solo in prossimità del mitico Ariston per vedere da vicino artisti e cantanti, ma negozi vuoti. Qualche affollamento in più in ristoranti e bar del lungomare, che ricorda un pò quello di Saint Tropez. Molti personaggi annessi al prossimo Festival, ma soprattutto parecchi francesi, nostri vicini d’Europa che, da come spendono, si vede essere accompagnati anche loro dalla crisi ma in entità decisamente minore di noi. E mentre il rifornimento di carburante nelle aree di servizio offre analoga sensazione desolante di vuoto: pochi Tir, posteggi assolutamente deserti se non per qualche automobilista che cerca i servizi igienici durante il viaggio ed annessi grill che sembrano sale da ballo il giorno dopo la festa. Inutile ripetere le mille righe scritte su queste pagine telematiche o sul cartaceo, nostro simbolo da ormai quasi mezzo secolo. Libertà di lavoro, ingiustizia sociale, leggi idiote, tecnici- politici- burocrati strapagati pur se incapaci, pensioni d’oro e quanto altro ci sarebbe da cancellare per il rilancio italiano. Inutile. Il sistema è come il banco al casinò (a proposito di Sanremo): vince sempre. E’ coriaceo, forte, inossidabile e, come democrazia non vorrebbe, le minoranze che gestiscono il potere prevalgono sulla maggioranza lavorativa e produttiva, ormai peraltro colpevolmente rassegnata: il 50% della famiglie, dice uno studio statistico nazionale uscito ieri, è convinta che si può vivere con 1.500 euro al mese. Segno che l’indigenza è stata accettata e ci va bene così. Ripresa? La vedono solo a Roma nella stanze del Palazzo. Sta cambiando tutto, sta finendo un’era e quella che pare aprirsi è triste e persino drammatica. Anche e fortemente per via di questa assurda rassegnazione. Che, questa volta e per una volta, ci fa biasimare noi stessi. Alzare bandiera bianca contro politica e sistema ci farà soltanto auto-sconfiggere.
Dino Frambati
d.frambati@seseditoria.com
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