Gazzettino Sampierdarenese

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San Pê d’Ænn-a comme a l’êa: da piazza Omnibus a piazza Vittorio Veneto

Ago 11, 2015

Nella carta vinzoniana del 1757, i Doria ed i Grimaldi erano i più vasti proprietari del terreno corrispondente. Prima del 1840, il terreno faceva parte del giardino, o della villa Carpaneto che, dall’attuale piazza Montano si estendeva sino al mare (almeno la parte più a ovest); o della villa Centurione del Monastero (almeno la parte più a est della piazza, dal Modena). Nel 1841, Raffaele Rubattino, intraprendente impresario genovese, costituì assieme ad Ignazio Venturini la prima impresa genovese di Servizio Trasporto con traino a cavalli, da San Pier d’Arena a Porta Pila ogni mezz’ora, per collegare l’arrivo dei suoi piroscafi dal Mediterraneo con la diligenza per Milano. Il Corriere Mercantile del 4 luglio e l’Espero del 10 luglio annunciano la prima corsa iniziante dal nostro borgo “a ponente della casa Pittaluga”, del servizio che verrà chiamato Omnibus (cioè “a tutti, per tutti”). Da quel momento quell’ampio slargo dove sostavano le carrozze fu popolarmente nominato “Piazza Omnibus”. Via Vittorio Emanuele II fu il primo titolo ufficiale, che assunse la piazza non ancora riconoscita come tale ma come tratto della lunga strada; per questo forse in contemporanea, popolarmente, rimaneva ‘piazza Omnibus’. Solo dopo il 1870, si provvide a creare miglioria di questa prima rete, con vetture trainate da uno o due cavalli e sempre senza eculissi. In accordo con la Giunta comunale locale, il nuovo servizio fu affidato ed inaugurato nel marzo 1873 dalla “Società Ligure di Trasporti” finanziata con capitale belga/francese; la piazza, già più ben strutturata, fu scelta come cambio delle pariglie e capolinea per le vetture provenienti ogni 5 minuti da porta Pila. Il folklore dell’arrivo e partenza assunse via via tinte sempre più forti, da semplice curiosità a viaggi pratici e di affari, cosicché la piazza divenne centro di attività e di incontro, di intenditori di cavalli, di rivenditori di ogni genere, curiosi, viaggiatori, trasbordati in attesa di una ‘coincidenza’. In quegli anni di più grande fervore e rinnovamento sociale industriale ed edilizio, e con una incalzante espansione demografica, il nuovo servizio fu accolto favorevolmente anche perché finalmente tolto agli abusi dei singoli trasporti privati. In un secondo tempo i trasporti proseguirono per Voltri o Bolzaneto, ma non arrivarono ancora a Pontedecimo; i cavalli , erano bardati con lussuosi finimenti, adorni di cimieri e sonagliere; le vetture arricchite di bandierine e fronzoli erano sia di tipo aperto sui lati, o chiuse; queste ultime avevano 12 posti a sedere nell’interno, ed altri 10 sul terrazzo; provenivano da Genova raggirando san Benigno dalla nuova porta della Lanterna e proseguendo per via Vittorio Emanuele. Il 10 marzo 1878, avvenne il viaggio inaugurale degli omnibus le cui vetture, sempre trainate da due-tre cavalli, ma su guide d’acciaio a rotaia, per evitare le irregolarità del terreno. Il nuovo servizio era gestito dalla “Compagnia Generale Francese di Tramways” e fu chiamato ufficialmente ‘dei tramway’, o popolarmente “e rebellea” o spregiativamente “treggia” o “tranvaietti”, a scartamento ridotto causa la ristrettezza delle vie, guidati da conduttore in divisa: camiciotto blu e foulard al collo rosso, bardatura dei cavalli nera per ‘fuori mura’, bianca entro le mura. In pochi mesi, da Genova si scavò un apposito tunnel di 256 metri sotto San Benigno, sopra le linee ferroviarie, che sbucasse in Largo Lanterna a cui le vetture arrivavano attraversando un ponte posto sopra un fosso difensivo, affiancato da un posto di guardia e dal casotto per gli agenti del dazio e mettendo in atto le rotaie, nel ponente sino a Bolzaneto e Pegli. Nel ponente cittadino, l’impianto a trazione elettrica su nuovo scartamento avvenne nel gennaio del1900 da parte dell’Uite (Unione Italiana Tramways Elettrici, nata nel settembre 1895) che aveva preso in carico monopolistico il servizio. Il personale venne riassunto o si adattò a condurre vetture per servizi vari; i cavalli vennero trasferiti in porto per il traino dei vagoni ferroviari. Nell’anno 1893 il viadotto ferroviario che collegava piazza Omnibus a via N. Bixio, fu allargato alle dimensioni attuali. La piazza, portava sempre il nome del sovrano, come tutta la strada dalla Lanterna a Rivarolo. La piazza, limitata a lato mare da lussuosi e decorosi palazzi con spaziosi e bei negozi alla base, divenne così il nuovo cuore della città, sede di comizi e raduni politici; luogo di appuntamento per le compere e serale per teatri (Excelsior, Splendor, Politeama, ed i vicini Modena, e Mameli); e centro – nei vari bar – di riunione di tutti gli appassionati di competizioni sportive. Solo nel 1910, alla piazza fu dato un altro nome ufficiale, intitolandola a Francesco Ferrer, anarchico massone spagnolo morto l’anno prima. Da questa titolazione è chiaro il colore politico della Giunta comunale locale; quando al governo centrale c’era il re, qui a San Pier d’Arena invece, a fianco dei tradizionali repubblicani crescevano i socialisti ancora commisti ai radicali. Dopo la Grande Guerra del 1915-1918, fu nominata piazza Vittorio Veneto, località veneta simbolo di tutti i luoghi di battaglia e di sofferta vittoria; e tale è rimasto sino ad oggi immutato. Negli anni ’30, prima quindi dell’ultima guerra, per aderire ad un migliore arredo, la piazza fu divisa longitudinalmente da un filare di platani, che delimitavano la zona pedonale da quella viaria; sotto questi alberi, vicino alla fermata del tram, iniziò il servizio taxi. Le piante furono fatte tagliare negli anni ‘42-’45 dal comando tedesco, installato nell’albergo Centro, per ragioni di loro sicurezza. Nel dopoguerra, in epoca definibile ‘Salatti’ dal nome del sindaco, la piazza fu scelta come sede dell’albero natalizio del Comune; spesso proveniente dalla val d’Aveto e trasportato con grosso articolato. Probabilmente la spesa comportata, fece ridurre gradatamente sia la grandezza sia la bellezza della pianta, sino alla totale eliminazione.
Ezio Baglini

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