Questa volta, anzichè uno dei soliti editoriali del sabato, ho deciso di pubblicare un pezzo che ho scritto per Il Piccolo di Alessandria, storica testata piemontese, cui collaboro da molti anni, e su sollecitazione dell’amico e collega Roberto Gilardengo, che ne è eccellente direttore. Il pezzo è apparso ieri sul giornale alessandrino ed è un po’ particolare: “autobriografico” l’ho definito. C’è la cronaca vissuta di questi eventi alluvionali che ci hanno profondamente toccato ma anche il legame antico e forte mio ma di moltissimi genovesi e/o piemontesi, tra la nostra Genova ed il Basso Piemonte.(d.f.)
Genova. Diviso tra due maledette alluvioni sull’asse Val Borbera – Genova. Due posti dove batte il mio cuore colpiti dalla stessa tempesta. Casa nella valle ed azienda di famiglia sotto la Lanterna che conduco in parallelo, da quasi 40 anni, con il mestiere di giornalista,. Allagata la seconda, solo sfiorata dal diluvio, per fortuna, la prima. Vissute entrambe con emozione e in prima persona, tanto da decidere di raccontarlo facendo il cronista, per una volta, di me stesso. Pensando, nel dualismo di giornalista ed imprenditore alluvionato innumerevoli volte, di poter descrivere come si sta in tali eventi. Ecco perché questa cronaca “autobiografica” che inizia quando il Bisagno esonda e travolge mezza Genova, fino al centro città, spezzando una vita e mettendo in risalto una ben conosciuta fragilità territoriale cui nessuna amministrazione, negli anni, ha posto rimedio pur sapendo che il capoluogo ligure è città tra le più a rischio alluvioni in Europa per orografia, geografia, condizioni climatiche e territorio stretto e lungo con montagne che incombono su una costa larga soltanto 4 chilometri. Mare caldo, aria fredda che irrompe, sale repentina causa Appennino e ripiomba giù di botto: cumulonembo perfetto. In tale situazione il meteo avverso replica dopo la notte del Bisagno e rovescia sulla città altri 200 millimetri di pioggia in poche ore, colpendo la già inginocchiata Valbisagno ma pure altre zone, compreso Ponente e la sua delegazione simbolo, dove sta geograficamente la Lanterna: Sampierdarena, Genova Ovest per chi arriva in autostrada; dove ho ufficio ed azienda, appunto. Qua scoppiano le fogne, si squarciano strade e marciapiedi, si allagano scantinati e negozi. Causa, la stessa da decenni: papà buonanima amava raccontarmi che la collina sampierdarenese era verde e ci andavano a fare scampagnate. Ora la speculazione edilizia l’ha riempita di circa 30 mila abitanti in palazzi le cui fogne confluiscono in antichi fiumi che vanno al mare attraversandone il centro, imbrigliati a loro volta sotto le case. Fogne ex rivi da due metri di diametro, che non reggono tuttavia a tanta acqua. Sono tracimate mille volte e, nei giorni scorsi, il triste rito si è ripetuto allagando, se non ricordo male per la ventesima volta in una trentina di anni, i miei locali. Il diluvio ha poi scavalcato l’Appennino e da Genova, ripetendo la strada che faccio almeno due volte la settimana, si è scatenato su Novi, Serravalle, Arquata, fino a lambire casa mia, in quel di Rocchetta Ligure. Leggendo le agenzie e seguendo la tempesta tremavo, perché lì ho cuore e casa che considero la mia vera dimora. Ci vive mamma, 89 anni lunedì prossimo, arzilla e sola e che, in quel momento, sentivo irraggiungibile per qualunque evenienza, chiusa la A7, allagata la strada tra Borghetto, Persi, tanto vicini alla mia Rocchetta che ci vado persino in bicicletta. Difficile persino telefonare. Sono riuscito a farlo con Giorgio Storace, amico e sindaco rocchettino, che sul paese mi ha rassicurato ma ammesso che attorno era disastro. Due alluvioni, vissute a poca distanza, ansia, apprensione, persino paura. Per una volta, scusatemi, ma la notizia, mi sono detto, sono io.
Dino Frambati