Il 25 aprile di settant’anni fa, coraggiosi uomini e donne semplici ma con un grande sogno, incisero nella nostra storia un’importante lezione per le generazioni future, una lezione fatta di eroismo, sacrificio, amore, fratellanza, patriottismo e desiderio di libertà. Questi eroi, per lo più giovanissimi, come i sampierdarenesi Giacomo Buranello, Walter Fillak, Attilio Firpo e moltissimi altri, hanno sacrificato le loro vite in nome di un futuro dove il manganello non sostituisse il dialogo ma dove le parole fossero il mezzo per arrivare al significato e all’affermazione della giustizia, della verità e della libertà. Questo futuro hanno deciso di donarlo a noi, futuri cittadini di un paese che sarebbe stato ricostruito su questi valori universali. Io da giovane studente quale sono, da sampierdarenese, da genovese, e soprattutto da italiano, mi sono spesso interrogato sul significato storico-sociale e morale che i nostri nonni ci hanno donato con questa grande lezione storica di libertà e di lotta, ma soprattutto mi sono interrogato sull’esito. Odiernamente, di questi valori e simboli, in particolare vorrei soffermarmi sul rapporto che constato ogni giorno fra i miei coetanei e questo giorno, con tutta la portata ed il carico etico che contiene. La nostra società è indiscutibilmente cambiata nel profondo da quegli anni apparentemente lontani in bianco e nero, i valori che i partigiani con la loro lotta hanno conquistato si sono affermati, sedimentati e purtroppo ormai considerati quasi scontati. I miei coetanei, per lo più considerano le eroiche storie della Liberazione come una noiosa favola antica proveniente e appartenente a epoche ancestrali e lontanissime. La maggior parte di noi non si accorge che sono passati solo settant’anni, una briciola di sabbia confronto all’eterno deserto dell’inesorabile clessidra del tempo, sono solo passati sette decenni dalla fine di un incubo d’oppressione paura e ingiustizia perpetrato per vent’anni, e dal grande sacrificio di sangue e lotta che è stato versato per abbatterlo. Mi accorgo sempre più tristemente che ormai il 25 aprile, la data del monito della storia e del giubilo alla libertà, stia diventato una banalissima festività su un calendario, riservata ai sempre meno che c’erano. Una semplice e vuota occasione per posare una corona d’alloro su di una targa ignorata dalla routine o su di una tomba dimenticata dalla memoria di chi vive oggi grazie a chi vi è sepolto sotto. In questa società dove tutto e tutti corrono senza voltarsi indietro, non dobbiamo dimenticare chi erano quei ragazzi. Erano studenti, come Giacomo Buranello e Waler Fillak, trucidati dai Nazifascisti, erano giovani lavoratori, come Raffaele Pieragostini, torturato a morte nel carcere di Marassi. Erano ragazzi come noi che hanno scelto la via della lotta e dell’estremo sacrificio in nome di una nazione libera e democratica, hanno rinunciato a tutto non per se stessi ma per noi, per i ragazzi che un giorno avrebbero camminato sul suolo di un’Italia grande e consapevole che gli orrori e l’indifferenza del passato sarebbero stati combattuti e scacciati. In questo settantesimo anniversario della Liberazione di Genova e dell’Italia dalla barbarie Nazifascista, non limitiamoci a una semplice e comodissima corona d’alloro e tante frasi fatte, alziamo lo sguardo e rendiamoci coscienti del grande dono di libertà che quei ragazzi ci hanno dato, soprattutto noi ragazzi, alziamo la testa e lottiamo per conservare, rispettare e rinnovare lo spirito partigiano della democrazia, in Italia e nel Mondo.
Andrea Bussalino
La Liberazione vista da un giovane d’oggi

Bello, molto bello, grande testimonianza di sentimenti. Bravo Fabio. Sul settantesimo farò un editoriale sabato, 25 aprile.
Direttore